Beniamino Bilali: “Dopo la crisi, il mondo digitale potrà aiutare i ristoranti”

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Beniamino Bilali, con i suoi quasi 35 anni, si è già guadagnato sul campo la stima di tanti colleghi del mondo del settore gastronomico per aver dato un importante contributo alla scuola di lievitazione contemporanea. Giunto giovanissimo in Italia dall’ Albania, dove è nato e cresciuto, Beniamino si è subito inserito benissimo nel nostro Paese grazie ad un modo di fare sempre molto cordiale e tanta curiosità. Un percorso veloce il suo, tanto che lo ha portato ad essere per molti l’ enfant prodige della pizza.

La Margherita di Beniamono Bilali

In questo momento di crisi mondiale, in cui il settore della ristorazione è fra quelli peggio colpiti e per il quale si prevedono perdite importanti, ho voluto chiedere a Beniamino di raccontarci la sua storia professionale e anche la sua esperienza all’ estero, in Norvegia, dove si è trasferito due anni fa per seguire un progetto importante. “Sono arrivato a Rimini nel 2000 presso alcuni parenti per studiare ma, siccome desideravo essere indipendente economicamente, iniziai subito a lavorare nel mondo della pizza, continuando parallelamente gli studi all’ alberghiero. In quegli anni il lavoro in pizzeria era sottovalutato ma a me piaceva tantissimo e così iniziai subito ad approfondire autonomamente la ricerca sugli impasti, a codificare le ricette, a volere fare meglio: l’ ambizione mi ha sempre aiutato a migliorarmi”.

Volendo sintetizzare il tuo percorso, ricco di tappe importanti, come lo riassumeresti?

“Iniziai a partecipare ad alcuni concorsi che mi misero in luce e così arrivò l’ occasione vera per crescere: la Comunità di San Patrignano decise di aprire una pizzeria per dare un futuro lavorativo agli ospiti della comunità e io fui scelto per dirigerla. Quando aprimmo la pizzeria “Sp.accio” io avevo 22 anni: fu un’ esperienza importantissima, io finalmente riuscii a mettere in pratica le mie idee, formare ragazzi di cui sentivo la responsabilità ma nessuno di noi immaginava il successo che sarebbe arrivato. Devo molto al mio maestro Giuliano Peliconi, che mi ha aiutato e incoraggiato”.

E dopo?

“Dopo quattro anni a Rimini decisi di accettare la proposta dei fratelli Aloe e insieme realizzammo il progetto della pizzeria “Berberè” a Bologna. Proponemmo una pizza diversa dal solito, con una proposta di 3-4 impasti e farciture scelte fra gli alimenti Slow Food. Dopo un po’ cambiai ancora e accettai di partecipare al progetto “Pummà”, di cui ho seguito tutte le aperture delle varie sedi e con cui ho vissuto anni importanti da un punto di vista professionale”.

Filetto di manzo in tartare, crema all’uovo tiepida con senape in grani, cerfoglio e dragoncello.

Fino alla decisione di cambiare ancora e stavolta la scelta ricade su un’ offerta che porta Beniamino e la sua famiglia molto lontano, in Norvegia, per raccogliere la sfida di “Vinoteket” un bel locale di Oslo che ci racconta così: “Vinoteket nasce come enoteca a cui abbiamo affiancato una proposta di pizza “importante”. Siamo partiti a novembre 2018 ed è stata una scoperta. Trasportare me stesso e l’ identità del mio lavoro non è stato facile dovendo fare i conti con la lingua e una diversa organizzazione del lavoro. Questa esperienza però mi ha permesso di mettermi in una vetrina internazionale, infatti in meno di un anno siamo stati riconosciuti da 50Top Pizza come unica insegna di rilievo in Norvegia”.

Come mangiano la pizza i norvegesi?

“Quando sono arrivato, non c’ erano proposte rilevanti; qui va per la maggiore lo stile classico, cioè sottile, i prezzi sono 2-3 volte di più rispetto all’ italia ed è un prodotto che viene apprezzato moltissimo. Anche qui ho portato il mio stile, che è sempre caratterizzato da una finestra aperta sulla tradizione ma associandola alla ricerca. Poi ci sono gli alimenti del posto che ho inserito nel menù come la polpa di granchio, che qui è un alimento forte ma mai usato sulla pizza; idem per le capesante, i funghi, le radici. Anche molti italiani che vengono in vacanza o che vivono qui amano assaggiare la pizza con materie prime diverse”.

Pizza con il vitello tonnato

Utilizzi anche alimenti italiani?

“Sì, ci sono vari alimenti italiani ma io sono fissato con la qualità e ci tengo che le materie prime arrivino in buone condizioni, anche per non rovinare il lavoro dei produttori. Tartufo e olio evo, sono due alimenti italiani a cui tengo molto; ho anche vari fornitori di mozzarella. Calcola che in generale ho circa 60 fornitori perché con  45 coperti e 120 pizze al giorno il volume degli ordini è basso, non ordino pallet, per cui a volte è difficile stabilire rapporti fissi con i fornitori. Ci vuole collaborazione anche con i produttori, per fortuna molti di loro mi vendono anche solo 5 kili di mozzarella. Ti dirò che ci sono anche italiani che si sono trasferiti  per produrre direttamente qui e siamo in collaborazione: in Norvegia si lavora bene il latte di mucca, tantissimo i vegetali e il mercato del biologico va per la maggiore”.

Dopo un anno come va?

“Non ho avuto grossi problemi: io ho accolto questa proposta e la mia vita qui è legata fondamentalmente al progetto lavorativo. Sto cercando di imparare la lingua locale ma con l’ inglese comunico perfettamente. Da due anni sono sempre in cucina, sono il primo ad entrare e l’ ultimo ad uscire e ho annullato tutte le lezioni e consulenze. Questa esperienza mi ha insegnato che saper fare la pizza è già un elemento superato, bisogna saper fare altro: qui ti affidano responsabilità più grandi, non sei solo un pizzaiolo ma uno chef che lavora con il team in altissima precisione, che gestisce il budget e che lavora non per soddisfare l’ ego personale ma per creare un’ azienda che dia soddisfazione a sé stesso ma anche all’ imprenditore/titolare. Noi siamo concentrati anche sulla vendita dei vini e lavoro molto anche con il sommelier, che è il legame tra la cucina e la sala”.

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Raccontaci qualcosa in più..

“L’impostazione è da cucina stellata: si lavora sul minuto sia per le tartare che per i gamberi che per le salse e ci coordiniamo perfettamente fra di noi. Credo che in Italia il mondo pizza ha bisogno di uscire dai clichè e avere una prospettiva più ampia: la qualità deve essere spalmata sulle varie tipologie di locale. Per esempio, in Italia esiste la “Francescana” e esiste la “Franceschetta” sono due tipi di locali differenti ma si mangia benissimo in entrambi. Oggi è importante anche formarsi e viaggiare, tanto per un cuoco quanto per un pizzaiolo”.

Come state vivendo la crisi internazionale causata dal Coronavirus?

“Noi abbiamo chiuso il locale il 13 marzo, il 90% delle attività è chiuso e in giro c’ è pochissima gente: anche se non era obbligatorio, tutti si sono chiusi in casa grazie a un senso di responsabilità individuale molto elevato. Aspettiamo indicazioni dal Governo sulla riapertura, intanto ci stiamo avvicinando al picco anche se qui abbiamo numeri completamente diversi dall’ Italia. Viviamo giorno per giorno e non abbiamo nessuna certezza sul quando si riaprirà e su come si riaprirà; vedo una grande voglia di ripresa, soprattutto in questi giorni con il bel tempo. Il problema è l’ incertezza sulle precauzioni che saranno prese: si parla di distanze fra i tavoli e sanificazione”.

Avete pensato al delivery?

“Nella mia realtà abbiamo già pochi coperti, non abbiamo pensato al delivery perché non è nel nostro concetto di ristorazione e in generale il delivery non garantirà l’ inquadramento un bilancio aziendale: aiuterà ma non è la soluzione. In futuro ci sarà sicuramente uno sviluppo del delivery per alcune aziende ma credo che non sia giusto snaturarsi. Credo che un buon aiuto può venire dalla tecnologia”.

Pizza con le capesante

In che modo?

“Io credo molto nel supporto delle tecnologie, purchè affianchino l’ artigianalità. Qui, oltre alle prenotazioni esterne che già sono regolate via web, anche iI flusso interno è tutto on line: tu entri e attraverso un display controlli la disponibilità dei coperti, perché anche il tavolo è un prodotto in vendita che può non essere disponibile. In ogni caso, il 70% delle prenotazioni è on line”.

Magari anche in Italia si potrà pensare di usare di più il digitale a servizio della ristorazione. Quali altri aspetti della ristorazione norvegese potrebbero risultare utili anche da noi?

“Il controllo del flusso dei clienti. In Norvegia c’ è uno stile di vita diverso che influisce anche sulle uscite al ristorante: noi apriamo alle 16 e la fascia più impegnata è dalle 17:30 alle 20, dopo proseguiamo fino alle 22, quindi facciamo due o anche tre turni controllati. Credo che inserire questo sistema in Italia sarebbe comunque utile perché ormai il digitale ha preso piede e anche se per alcune persone all’ inizio potrà sembrare strano, per il futuro credo i nostri figli siano già predisposti a questo modo di pensare. Io ho sempre creduto nel mondo digitale, ho investito sulla formazione e qui mi è servito”.

D’ istinto, come vedi il futuro, in generale?

“Dopo questo disastro sarà una pagina da riscrivere”.

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