La mano foggiata dalle esperienze stellate al servizio della grande tradizione gastronomica partenopea: questo potrebbe essere lo slogan ideale per descrivere il presente della storica trattoria “Mimì alla ferrovia” fondata a Napoli da Michele “Mimì” Giuliano nel 1943. “Mimì” è un luogo di culto per i napoletani e per i tanti turisti che possono godere non solo dell’ alta qualità della proposta gastronomica ma dell’ immergersi nelle atmosfere di quartiere dei vicoletti napoletani in prossimità della Stazione Centrale.
Da Piazza Garibaldi, oggi finalmente terminata e piacevolmente adornata di verde, ci vogliono cinque minuti per raggiungere questa trattoria che con i giusti accorgimenti ha mantenuto l’ assetto originario, con tantissime foto incorniciate alle pareti che ne raccontano la lunga storia di successi e apprezzamenti, tra cui quello recente come “Miglior Azienda 2018 – Riconoscimento speciale alla carriera e Riconoscimento speciale per meriti professionali“ conferito dal Comitato del “Gran Premio Internazionale del Leone d’Oro di Venezia“ e consegnato presso la Camera dei Deputati a Roma. Ma l’ epoca d’ oro qui non è mai finita e oggi forse splende ancora di più grazie alla cucina, affidata alle mani di Salvatore Giuliano, ventinovenne figlio di Mimì, che rimane il patron, la figura imprescindibile di questo luogo.
Salvatore Giuliano è un bel ragazzo spigliato, educato e solare che ha saputo vestire di nuovo la tradizione, pur rispettandone i canoni a cui fa riferimento. E’ facilmente intuibile che lo chef non si sia accontentato di conoscere le ricette di famiglia ma che sia andato a formarsi presso importanti corti gastronomiche e quindi gli abbiamo chiesto di raccontarci questa bella storia di ristorazione italiana.
Salvatore, nascere in
una famiglia con un’ attività storica è sicuramente stimolante ma impegnativo e
forse per un ragazzo non è semplice assumersi tante responsabilità: tu come hai
vissuto tutto ciò?
“Sono cresciuto nel ristorante di famiglia da sempre. Fin dai tempi del liceo scientifico ho iniziato a lavorarvi con ruoli minori e ho fatto tutta la gavetta necessaria. Crescere è stata dura: all’ inizio ho preso questo lavoro quasi come un dovere, una forma di rispetto verso la mia famiglia ma dal momento in cui ho indossato la giacca e il grembiule da cuoco mi sono innamorato di questo lavoro e questa è la fortuna più grande”.
Come ti sei preparato
per dirigere la cucina?
“Ho fatto varie esperienze, tutte molto importanti e che mi hanno lasciato insegnamenti diversi. Ho iniziato con Paolo Bararle al ristorante “Marennà” presso Feudi San Gregorio: con Paolo ho trascorso sei mesi importanti che mi hanno trasmesso l’ importanza della figura del cuoco e che mi hanno fatto assorbire parte della sua grande cultura gastronomica. Successivamente, nel 2012, sono stato al “Quattro Passi” di Nerano, in Costiera Sorrentina, presso la famiglia di Tonino Mellino: un posto incredibile per la grande materia prima utilizzata, proveniente dall’ orto del ristorante e dai pescatori che lavorano per il ristorante. Dopo mi sono spostato nella Penisola Sorrentina al Faro di Capo d’ Orso, dallo chef Franco Ferrara che mi ha trasmesso l’ alta tecnica di ispirazione francese. La vera svolta è arrivata nel 2013 con l’ esperienza da Nino Di Costanzo a Ischia, presso il ristorante “Il Mosaico”: da lui ho appreso una visione di cucina fatta di grande disciplina e impegno. Dopo queste esperienze, i tempi erano maturi per prendere in mano le redini della cucina del ristorante di famiglia, ma prima di dedicarmi completamente al lavoro ho voluto realizzare un mio sogno, quello di andare in Giappone. Ho fatto un percorso umano e professionale fra Osaka, Kyoto e Tokyo che mi ha segnato tantissimo positivamente: ho lavorato in ristoranti tradizionali e ristoranti stellati e ho anche partecipato ad alcuni programmi televisivi. Durante il soggiorno giapponese ho approfondito la conoscenza sul pesce e soprattutto mi è rimasto dentro l’ approccio con alla cucina, fatto di essenzialità e una mentalità che rispetta la gerarchia dei ruoli in cucina”.
Come è stato il
ritorno a casa?
“Quando sono tornato definitivamente a casa ho iniziato a
condurre i fornelli con la voglia di imprimere alla mia cucina tutte le
esperienze fatte ma poi mi sono reso conto che il nostro ristorante ha una
forte identità legata alla tradizione che non va snaturata. All’ inizio c’ era
un po’ di ego personale ma poi è subentrata la consapevolezza che “Mimì” è
storia e tradizione”.
Adesso c’ è l’
emergenza sanitaria causata dal Covid19 che sta creando problemi al settore
ristorativo: voi come state vivendo questo momento?
“Appena è stato possibile abbiamo fatto un piccolo restyling senza stravolgere il format e siamo partiti con l’ asporto, che facciamo ancora. Normalmente di questi tempi la città era piena di turisti e trovare un posto a pranzo era difficile senza prenotazione mentre adesso stiamo ripartendo con una carta giornaliera, in cui non mancano mai i piatti storici come la “Genovese”. La nostra forza resta la freschezza, lavoriamo materie di provvigione quotidiana, soprattutto con il pesce”.
La carta di questo periodo è comprensibilmente ristretta ma
ugualmente capace di rappresentare appieno la napoletanità nel piatto: quattro
antipasti, sei primi e cinque secondi. Scegliamo “Passeggiata napoletana: assaggi
di tradizione” in cui troviamo il mitico peperone imbottito di Mimì, la
Parmigiana di melenzane, alcuni fritti tipici come crocchè di patate e la frittatina
di pasta e l’ alice ripiena con fiori di zucca e zucchine alla scapece. Fra i
primi scegliamo gli Ziti alla Genovese, ottimi, dalla cottura al secondo
perfetto. Il dolce è una Caprese morbida e abbondante. Vicino a noi, nella sua
postazione d’ ordinanza c’ è proprio Mimì, un signore sorridente e con gli
occhi azzurrissimi, che ogni giorno segue l’ attività e da buon patron è sempre
disponibile a scambiare due chiacchiere con gli ospiti e commentare i fatti del
momento. Fra Mimì e il figlio Salvatore ci sono ben 57 anni di differenza, due
generazioni, una differenza notevole che Salvatore descrive “Io e mio padre
abbiamo 57 anni di differenza; io sono l’ unico figlio maschio, arrivato dopo
tre sorelle femmine. Il confronto a volte non è stato semplice ma oggi so che è
contento e andiamo d’accordo anche sul lavoro”.
Cosa immagini per il
futuro?
“Ho degli obiettivi da conquistare con il lavoro ma
soprattutto onorare la tradizione e il nome di Mimì”
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