All’ inizio fu solo un’ enoteca, il sogno realizzato di un
giovane studente universitario che, a pochi esami dalla laurea in informatica,
aveva deciso di dare una nuova rotta alla propria vita, supportato dai
genitori, da sempre appassionati di vini.
Oggi, in questa stradina fresca e silenziosa del Quartiere Corticella a Bologna, “Giro di vite” di Federico Pettazzoni è il “posticino” che consiglieresti ad un amico, quello dove si sta bene, alla portata di tutti, in cui si respira educazione e consapevolezza, dove l’ accoglienza è informale ma sempre rispettosa degli ospiti e delle modalità di un servizio di ristorazione.
Federico, un quarantenne dallo stile sobrio e misurato, non ha mai sgomitato per apparire e farsi luce nel settore ma oggi, insieme alla sua brigata, di cui fa parte il simpatico papà Guido e la compagna Silvia Brandelli, incoraggiati da tanta voglia di fare e il basso profilo, possono dare una lezione sul fare impresa in tempi difficili, perché con una conduzione familiare e investimenti oculati stanno dimostrando che in tempo di emergenza non solo si resiste, ma si tira fuori il meglio il buono che si può offrire.
Quello che ci ha colpito, in questa storia, è che la “faccenda del Covid-19” per il Giro di vite è stata quasi un’ opportunità per tirare fuori gli attributi, per uscire dagli indugi, per affermare “Noi ci siamo e resistiamo” e ritagliarsi finalmente il proprio stile, la propria identità che non si perde nel mare magnum di locali che oggi invadono le strade di Bologna.
A questo punto, potremmo aprire una lunga digressione su quanto sia importante il marketing per un ristorante: ci sono locali che fanno della pubblicità le fondamenta dell’ edificio ristorativo; ci sono format annunciati con lo scopo di creare fremiti d’ attesa che si protraggono per mesi; ci sono nuove aperture urlate ai quattro venti e –soprattutto- oggi dietro i ristoranti ci sono grandi investimenti, il che significa avere un cuscinetto economico su cui poter poggiare le natiche anche in tempi faticosi come quelli che viviamo. Ciò detto, non vuol dire che investire e farsi pubblicità sia sbagliato, ma utilizzare il marketing come arma principale alla lunga non giova: al ristorante, che sia fast food, pizzeria o trattoria, si va per trovare cibo di qualità, una educata accoglienza e un servizio puntuale e questo è il paradigma su cui deve basarsi il settore.
Non ci dilunghiamo oltre e rimaniamo fermi al civico 45/b di
via delle Fonti, dove la piccola enoteca, con un po’ di idee e accorgimenti è
riuscita a trasformarsi in un indirizzo di riferimento per una serata piacevole
e conviviale; ma tutto ciò è solo il presente di Giro di vite, un locale che ha
una storia iniziata 11 anni fa, che proprio Federico ci ha raccontato:
“Fin da piccolo seguivo i tour dei miei genitori, che non erano tipi da ferie stanziali ma giravano l’ Italia a caccia di produttori vinicoli da conoscere. All’ inizio soffrivo questa cosa, perché non riuscivo a crearmi la classica compagnia estiva perché eravamo sempre in giro; quelle esperienze, però, mi hanno fatto capire che in Italia abbiamo una biodiversità culturale e gastronomica unica. Dopo il liceo scientifico mi ero iscritto alla Facoltà di Informatica a Ferrara, ma a pochi esami dalla laurea colsi l’opportunità di rilevare questa piccola enoteca nel Quartiere Bolognina e così cambiai vita. Era il 2008, insieme alla mia compagna dell’ epoca ci lanciammo in questa avventura perchè era un locale piccolo e gestibile e iniziammo con una proposta di vini, dando sempre spazio a piccoli produttori artigianali. La chiamammo “Giro di vite” perché era un nome che mi piaceva perché intendeva proprio l’ idea di cambiare rotta”.
Poi però la cucina ha
preso il sopravvento…
“Con il tempo mi sono dedicato allo studio, partendo dalla lezione di Slow Food e continuando a tenermi sempre aggiornato con libri tecnici e grazie anche al confronto con colleghi con più esperienza. Sono partito dalla conoscenza del mio territorio, ispirandomi alla cucina delle nonne e con la consapevolezza che ero un neofita che doveva imparare tutto, per cui ho iniziato con quattro piatti basici; poi, pian piano ho preso possesso della mia cucina. Nel mio percorso una parte fondamentale la fanno i dipendenti: in primis perché assumere personale esterno alla mia famiglia vuol dire aver raggiunto una certa solidità, ma soprattutto perché i nuovi arrivi hanno portato nuove influenze ed esperienze esterne che hanno fatto crescere la mia cucina. Io sono molto preso dalla gestione, per cui ho poco tempo per girare e fare stages altrove”.
Veniamo al presente.
La sensazione è che questa necessità di reinventarsi abbia dato più carattere
al locale: è così?
“L’ emergenza all’ inizio mi ha spiazzato e non sapevamo
bene come gestire la cosa. Già da tempo, però, avevamo in mente di lanciare un’
applicazione per i cellulari dedicata al nostro ristorante e così, insieme agli
sviluppatori, ci siamo dati da fare e abbiamo velocizzato il progetto,
facendolo diventare una vetrina ma anche un e-commerce per poter acquistare i
nostri vini, che in tempo di quarantena consegnavamo a domicilio; oggi che si
può uscire, si può comunque acquistarli e
ritirarli personalmente in enoteca. Inoltre, con questa modalità di acquisto si
possono accumulare punti che diventano dei buoni spesa o degli sconti da
utilizzare per una cena da noi”.
Ci ha colpito l’ idea
di proporre un menù ridotto: ce lo racconti?
“Avevamo già organizzato il menù con la scelta alla carta o
con quattro percorsi di degustazione, suddivisi in orto, mare, macellaio,
rezdore (dedicato alla pasta fresca ndr).
Alla riapertura abbiamo deciso di proporre porzioni più piccole, in modo che
gli ospiti possano fare più assaggi e scrivere da soli il proprio “libro di
racconti”. Per quanto riguarda invece l’ assetto, visto che abbiamo dovuto
dimezzare i posti a sedere, abbiamo deciso di utilizzare sia il portico esterno
che la veranda laterale che un ulteriore spazio nel retro, dove avevamo le erbe
aromatiche: il portico lo abbiamo dedicato esclusivamente all’ enoteca per fare
aperitivo o passare una serata tra amici, la veranda è dedicata alla cena e l’
orto-giardino è uno spazio che prima usavamo solo noi del personale e che
abbiamo abbellito e aperto al pubblico”.
La sapienza e l’ ingegno con cui Federico e i suoi hanno cambiato la scenografia del locale è da apprezzare; la veranda e il retrobottega oggi sono diventati un angolo delizioso con i drappeggi a creare atmosfera, luci soffuse, piante aromatiche, composizioni di ciottoli da cui fanno capolino etichette di nicchia da conoscere, ma anche un menù digitale da sfogliare attraverso un’ App dedicata, perché essere semplici e prudenti non vuol dire rimanere indietro.
Ed è proprio in questo spazio, ribattezzato “Orto dei semplici”, che noi abbiamo cenato sotto un tetto di stelle e soprattutto al fresco, lontano dallo smog e dai rumori del centro. Il menù, in effetti, consente di pescare liberamente dalla carta, godere dei piatti senza appesantirsi e i prezzi –diciamolo- invitano a provare qualcosa in più.
Abbiamo scelto i passatelli conditi col pesto al basilico
home made, salsa al limone salato e pop corn di Parmigiano (7€); Tartare di
Fassona (8€) battuta al coltello servita con una crema di rapa rossa e un
crumble dello stesso vegetale e verdurine croccanti trattate con il metodo
dell’ osmosi; Frittura mista (12€).
I dolci segnano altri punti in favore: “Nocciola e carota” (6€) è un tortino servito con gelato allo zabaglione mantecato al momento e accompagnato con una salsa all’ erba cedrina; “Non ci piace la Zuppa inglese” (6€) è una interpretazione giovane del classico dessert che gioca con gusti e consistenze: Pan di Spagna al cioccolato, alchermes potenziato con le ciliegie, crema all’ uovo più leggera e fluida rispetto al solito.
In carta ci sono tante opzioni: le degustazioni di formaggio fra gli 8-10€; selezione di norcini fra 4-10€; Cavatelli rigati ai cinque pomodori (6€); biancostato o carpaccio di Fassona, 8€ ciascuno; polpo e patate in diverse consistenze (8€) o un risotto al profumo di mare (8€). Tutti i piatti sono composti da materie prime scelte, attentamente preparati e ben presentati. A fine cena, poi, arriva Guido con il suo buonissimo Nocino per far chiudere in bellezza la serata.
Federico, i risultati
di questo stravolgimento in positivo?
“Per adesso vedo un buon movimento, soprattutto di persone del posto e spero che le novità stimolino curiosità; il mercoledì sera stiamo facendo anche un menù di pesce per coppie e proseguiremo anche inverno, un periodo in cui ancora non sappiamo bene come dovremo comportarci”.
E noi pensiamo che Federico e i suoi hanno imboccato una buona strada: basterà seguirla ancora ed essere sé stessi, con il loro buono da far conoscere, per far crescere il “Giro di vite”.
Abbiamo cenato con menù di pesce nell’orto dei semplici sotto le stelle, intimo e discreto, sapori ricercati e giuste porzioni, un ottimo servizio con tempi giusti e spiegazione dei piatti esaustive, qualità e prezzo ci hanno soddisfatto. Sicuramente da ritornarci per altre degustazioni anche i nostri ospiti di Torino hanno apprezzato la scelta del Giro di Vite.
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Abbiamo cenato con menù di pesce nell’orto dei semplici sotto le stelle, intimo e discreto, sapori ricercati e giuste porzioni, un ottimo servizio con tempi giusti e spiegazione dei piatti esaustive, qualità e prezzo ci hanno soddisfatto. Sicuramente da ritornarci per altre degustazioni anche i nostri ospiti di Torino hanno apprezzato la scelta del Giro di Vite.