La Trattoria Scaccomatto di Bologna compie 35 anni; il suo fondatore, Mario Ferrara, ne ha qualcuno in più ma è cresciuto proprio fra queste mura, come uomo e come professionista.
Nato in Basilicata, Mario Ferrara ha lasciato presto la terra natìa per emigrare al Nord Italia con un diploma alberghiero in tasca e tanta voglia di mettersi in gioco. Dopo alcune tappe in Piemonte e Sardegna, trova a Bologna il luogo dove realizzare sé stesso e il sogno di aprire il proprio ristorante.
L’ occasione di questa ricorrenza speciale è anche l’opportunità per fermarsi un attimo (non troppo perché Mario è molto dinamico), guardarsi indietro e godersi i ricordi come frames di un bel film.
Fin dai primi anni, la Trattoria Scaccomatto ha saputo conquistare i palati dei bolognesi, coccolarli con sapori diversi dalla grande tradizione emiliana, tanto da divenire presto la meta dei bongustai-biassanot che in via Broccaindosso hanno sempre trovato casa grazie alla presenza di varie buone trattorie dove tirare tardi.
Erano altri tempi, la convivialità non era solo un bel vestito da indossare per uscire a cena ma si socializzava fra tavoli, si suggerivano etichette mentre si gustavano dei fumanti “Raschiatelli con sugo di Capocollo tagliato al coltello, pecorino e rafano”, un chiaro riferimento a una cucina dei pranzi in famiglia nelle case del Sud che ha aiutato a costruire quell’ ambiente familiare tanto caro agli aficionados.
Poi i tempi sono cambiati e lo Scaccomatto e la sua cucina sono diventati il riflesso della maturità del suo patròn: la sala e la mise en place hanno linee più leggere, la cucina si è fatta più ricercata ed elegante, con tratti internazionali, pur mantenendo quel legame indissolubile con la concretezza e la riconoscibilità.
Oggi la carta testimonia questa maturità con piatti come “Tortelli di toma, burro nocciola, fondente di cipolla, salvia”(14€) oppure “Spaghetti piccanti, cime di rapa, peperone crusco, acciughe” (14€) o ancora “Calamaro, pancetta, limone, fave e broccoli” (20€); fra i dolci guardiamo con golosità a un “Torta basca e dulche de leche” (8€).
Ci sono, poi, due percorsi di degustazione: uno da sei portate a 55€ e un altro da otto portate a 70€.
Ma, soprattutto, ad affiancare Mario Ferrara oggi c’ è suo figlio Simone che dopo una serie di esperienze in Italia e all’estero, ha preso le redini della sala e della carta dei vini dando un taglio più giovane al servizio.
Mario, dopo 35 anni come ti vedi oggi come professionista?
“Se mi guardo indietro, nella mia vita professionale, penso che il mondo della cucina è cambiato tantissimo, ma l’attitudine a volermi rinnovare, apprendere, acquisire tecniche nuove è sempre stato nel mio DNA. La cucina per me è tradizione e modernità, ma la tradizione è quella che mangiamo oggi, non quella che mangiavamo nel 1800. Poi oggi mi sento più sicuro rispetto ad una volta”.
Negli ultimi anni sei tornato ad una cucina delle origini, puntando su alimenti poveri per elaborare una cucina di grande qualità e suggestiva, il cui emblema è il piatto “Musetto, piedini, orecchie” in cui utilizzi tagli del maiale inusuali. Perché questa scelta?
“Il fatto di girare tanto e confrontarmi mi ha aiutato. In Spagna, in Catalogna, mi sono confrontato con la cucina dello chef Alejandro Carrera Alonso e vi ho trovato molte similitudini con la nostra cucina e questo scambio di vedute mi ha aiutato a prendere coraggio. Vedevo che lui cucinava un piatto con piedini e orecchie di maiale con i calamari e altri alimenti e mi sono chiesto perché io non avessi mai avuto il coraggio di proporre un piatto simile, che apparteneva anche alla mia memoria, visto che mia madre cuoceva orecchie di maiale con ceci e fagioli nella pignatta vicino al camino. Mi sono risposto che a volte si ha paura di mettersi a nudo, di far vedere la propria origine povera; fare una cucina ricca è una forma di riscatto personale. Oggi la cucina con alimenti poveri mi sta aiutando a ritrovare l’ essenza di me stesso: sono dovuto andare in Spagna per mangiare piatti che mangiavo da bambino per avere il coraggio di proporli nel mio ristorante. La mia fortuna è essere stato figlio di contadini, perché l’ amore delle verdure nasce con la mia mamma”.
E le verdure sono così presenti nella tua cucina che anni fa sei stato fra i primi a puntare sul Km0…
“A Bologna ho portato le verdure del Sud e il loro uso, come le nostre zuppe, e ho contribuito ad ampliare l’ offerta. Credo molto nella contaminazione: sono un emigrato e non potrebbe essere altrimenti. La verdura e il recupero sono nella mia storia: dieci anni fa, insieme alla chef Federica Frattini abbiamo deciso di utilizzare alcuni suoi poderi incolti per coltivare degli orti ad uso esclusivo del ristorante e quella idea piacque molto, tanto che altri cuochi aderirono all’ iniziativa”.
Cosa pensi dell’alta cucina che a volte è stata contrastata proprio per lo spreco alimentare?
“Credo che in questo momento la cucina gourmet stia prendendo altre strade. Il nostro modo di fare cucina, con le sue evoluzioni, è sempre stato apprezzato: abbiamo una clientela molto affermata ma anche un’ altra fetta di giovani e questo mi fa pensare che la nostra proposta sia consolidata ma anche attuale”.
Cosa può fare oggi la cucina per orientarsi verso scelte più “green” e sostenibili?
“Un aspetto che mi interessa molto riguardo al nostro lavoro è l’etica. Credo che un cuoco, ogni giorno, debba chiedersi quanto è etico nel proprio modo di lavorare. Io mi sto confrontando spesso con questo aspetto negli ultimi tempi: credo di essere etico nella scelta e utilizzo degli ingredienti, cercando un riutilizzo intelligente degli scarti”.
Ci spieghi meglio?
“Prendiamo le verze: spesso nella ristorazione vengono scartate le foglie esterne dure, mentre noi le trasformiamo in un appetizer o in un elemento croccante per i piatti; facciamo una cipolla bruciata, dove le foglie esterne le riduciamo in cenere e diventano un completamento del piatto; con il mallo di noce abbiamo realizzato un liquore “Nocino”, poi abbiamo svasato il Nocino e ne abbiamo fatto un vermouth e quando abbiamo svasato anche il vermouth, insieme al Maestro panificatore Matteo Calzolari, ci siamo accorti che i mallo di noce, pur rinsecchiti dall’ alcool , sprigionavano ancora tantissima essenza, e così abbiamo pensato di fare un panettone di Natale utilizzando il mallo come un candito. Ancora, con le foglie più dure dei carciofi facciamo un consommè che può essere utilizzato insieme ad altri ingredienti o da solo, a fine pasto. Purtroppo però, devo anche dire che noi cuochi non siamo etici su altri aspetti: la cucina contemporanea ci porta all’ utilizzo di cotture sottovuoto che comportano l’ uso di troppa plastica, tanti elettrodomestici e impiego di elettricità e vorremmo che qualcuno di dovere ci aiutasse a risolvere questo problema”.
Ma l’ etica è anche nel saper mettere la cucina a disposizioni delle cause importanti, e tu e altri colleghi in questo periodo lo avete fatto, ce lo racconti?
“Insieme ad altri colleghi e allo scrittore Bruno Damini abbiamo scritto un libro di ricette e racconti i cui ricavati andranno in beneficenza. Ci sono dei bambini malati di reni, prossimi al trapianto, che possono mangiare solo determinati alimenti seguendo una dieta aproteica; Andrea Pasini, nefrologo impegnato da anni nel Programma di Nefrologia e Dialisi Pediatrica del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, insieme alle sue dietiste, ha chiesto aiuto a noi per rendere gli alimenti possibili più appetibili per i bambini e da questa idea è scaturita una grande collaborazione con altri colleghi che ci ha fatto bene come professionisti e come persone”.
Prossimi progetti?
“La riapertura di Scaccomatto Agli Orti, la mia realtà estiva a cui mi dedico da anni: se tutto va bene, fa meteo e permessi, ricominceremo a fine maggio”.
Cosa ti lasciano questi 35 anni?
“Io penso che ogni cuoco debba interpretare sé stesso. Io ho sempre vissuto le mie emozioni e il mio cambiamento giorno per giorno, interpretando continuamente gli stessi alimenti, seguendo il mio istinto. Anche in questo ultimo anno non mi sono fermato e ho continuato ad evolvermi. Dopo 35 anni ho ancora la curiosità e l’entusiasmo, anche per salvaguardare la salute mentale e affrontare questo momento difficile da cui non siamo ancora usciti”.
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