Mangiare la cucina tipica sarda a Bologna è possibile, basta
fare qualche km fuori porta per trovarsi in un angolo della Barbagia.
Per immergersi nei sapori unici della cucina tipica sarda a Bologna, sapientemente elaborati, abbiamo percorso pochi km in direzione Modena: siamo sui primi Colli Bolognesi, precisamente a Monteveglio, non lontano dall’ omonima Abbazia; qui nel 2007 Attilio Curreli e sua moglie Gabriella hanno aperto la loro trattoria ispirata alle tipicità della Sardegna, terra da cui provengono entrambi.
L’ ambiente è rustico e riproduce fedelmente le taverne sarde della Barbagia, la regione più interna e montuosa della Sardegna, con tanti elementi folkloristici: dalle maschere di pelle alla collezione di coltelli artigianali fino alle tipiche campane che utilizzavano i pastori e manufatti in ferro battuto. Il servizio è accogliente ed essenziale, in linea con quello che è il contesto di campagna: mangiare in questa trattoria è sicuramente un’ occasione per vivere il desco sardo dai piatti più conosciuti ad altri strettamente locali.
E’ chiaro che la cucina tipica sarda è essenzialmente una cucina “povera”, tramandata dalla vita dei contadini e soprattutto dei pastori, che l’ hanno notevolmente influenzata: abitudini e necessità che hanno generato morsi di croccante bontà come il pane Guttiau, che è fatto di due sfoglie di pane Carasau, condite con olio e rosmarino e passate in forno, che racchiudono una morbida quanto saporita farcia di formaggio Casitzolu e Pecorino, davvero libidinoso nella sua essenzialità, soprattutto se accompagnato da una fetta di salsiccia artigianale.
Proprio il formaggio è il filo conduttore del menù, che sia alimento principale, come sul tagliere di salumi e formaggi, che sia da accompagnamento, grattugiato sui due primi iconici della cucina tipica sarda, i Culurgiones e i Malloreddus, o che diventi farcia golosa deIle dolci Seadas.
I Culurgiones sono sicuramente la pasta fresca ripiena più bella ed elaborata fra tutte le varianti regionali italiane: sono grandi ravioli di semola farciti con patate, Pecorino e menta, chiusi a mano ricavando la classica linea “a spiga di grano”, che Attilio prepara personalmente, e poi conditi con un sugo di pomodoro fresco al basilico. I Malloreddus invece sono gnocchetti di grano duro a forma di conchiglia e sono serviti “alla Campidanese” vale a dire con ragù di salsiccia sgranata a mano e accompagnati con pistilli di Zafferano.
Fra i secondi di carne la fa da padrone il Porceddu, ovvero il maialino da latte (40-60 giorni) cotto nel forno a legna, dalle carni tenerissime e la cotenna croccante, ma è possibile scegliere altre tipicità come la “Petza Cunfettada” ovvero filetto di maiale marinato in aceto di vino e cotto ai ferri o la costoletta di agnello arrosto.
Ci sono poi le proposte di pesce, tra cui il ”Moscardino in rosso su crema di patate”; gli “Araj”, una pasta di semola molto simile ai paccheri, con il ragù di seppia, oppure i Gamberi Rossi di Mazara alla griglia.
I dolci, infine, chiudono il viaggio in Sardegna: immancabili le Seadas, dolci di sfoglia fritti, ripieni di Pecorino giovane, dal sapore leggermente acidulo, e limone grattugiato, che poi vengono terminati al tavolo con una guarnizione al miele, che può essere di castagno o di corbezzolo, tipicamente amaro, che aggiunge una nota in più ad un dolce già molto aromatico.
Ma nella carta dei dolci si possono pescare anche alte preparazioni tradizionali meno conosciute come il semifreddo al torrone di noci di Aritzo, paese originario di Attilio, che ha una lunga tradizione nella lavorazione del torrone; il mascarpone con i biscotti di Fonni, che sono simili ai savoiardi, ma più grandi e soffici, in modo di assorbire diversamente il caffè; infine il sorbetto al Mirto.
Anche la carta dei vini aiuta a scoprire meglio il territorio e la cucina tipica sarda: dal famoso Cannonau si passa al Muristeddu, al Vermentino e la Vernaccia per quanto riguarda i bianchi; una bella sorpresa è stato anche il Brut rosè di Contini da uve Nieddera.
Attilio, 43 anni, è un ragazzo legato alla sua terra, di cui porta con sé una filosofia di vita semplice ed essenziale, fatta di lavoro e di famiglia, senza mai dimenticare di smorzare i toni, anche quando racconta la sua vita: “Sono nato e cresciuto ad Aritzo, in provincia di Nuoro, nella Barbagia, e da quando avevo 5 anni ho lavorato nel ristorante-pizzeria della mia famiglia. A 20 anni sono arrivato in Emilia Romagna con lo scopo di lavorare in Riviera Romagnola e conoscere tante svedesi (ride, ndr), invece ho subito trovato lavoro in provincia di Bologna e in Romagna non ci sono più andato! Ho lavorato da dipendente per 10 anni e nel 2007 ho aperto “Ajò”.
Proporre una cucina tipica sarda a Bologna è stato difficile?
“All’ inizio, come tutte le attività, devi farti conoscere. Io ho sempre voluto fare la mia cucina e, a parte le verdure, per il resto mi arriva tutto dalla Sardegna per tutelare l’ autenticità dei piatti. A volte ho dovuto trovare un compromesso, ma dopo quasi 14 anni siamo riusciti a farci conoscere e abbiamo una clientela varia, quasi tutta da Bologna o Modena, mentre è più difficile lavorare con il cliente locale. Siamo in una zona turistica o per chi la sera vuole cenare fuori città, quindi di sera e il week end sono i momenti in cui si lavorava di più, mentre adesso questa situazione ci costringe a essere aperti solo a pranzo”.
Attilio è capace di sdrammatizzare anche quando gli chiedo come immagina il futuro imminente, vista la grave situazione generata dall’ epidemia: “Io il futuro lo vedo sempre rosa, come le carni del maialino da latte!”. Più cauta Gabriella, che si occupa della sala: “Siamo rimasti io e mio marito. Prima ci aiutava un ragazzo in sala, ma adesso riusciamo a fare tutto da soli. Siamo aperti a pranzo, abbiamo aggiunto il turno del sabato a pranzo, in cui di solito eravamo chiusi; non facciamo delivery perché non è la zona giusta ma siamo organizzati per l’ asporto con ritiro in loco del cliente”. Difficile indagare oltre i sentimenti dei due titolari, purtroppo la condizione di incertezza non consente di fare previsioni e i ristoranti lontani dai grandi centri possono contare poco anche sulla pausa pranzo dei lavoratori. Invece i bolognesi e i modenesi ora sanno che a metà strada fra le due città, immersi nel verde dei Colli bolognesi, c’ è una meta per fare una piccola fuga dalla città e immegersi nei sapori della cucina tipica sarda.
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